iDO FAMILY

19 novembre 2018
SCRITTO DA: The Pozzolis Family

Quando il papà torna dopo due settimane...

Il grande giorno era finalmente arrivato. “Oggi, dopo due lunghissime settimane, finalmente torna papà” continuavo a ripetere felice come quando sta per caderti il cellulare nel water e con uno scatto del piede, abbassi il coperchio salvandolo da morte certa. “Oggi, finalmente torna! E... dobbiamo farci super belli per lui!” gridavo ai bimbi mentre ribaltavo la cameretta per trovare i vestiti giusti per l’occasione. Anche Giò e Olivia erano felicissimi. Non vedevano l’ora di stringerlo, ma soprattutto non vedevano l’ora di stringere i regali che Giamma, dopo-ripeto-due lunghissime-settimane-di-assenza- sicuramente aveva comprato per farsi perdonare. Si-cu-ra-mente. Erano molto emozionati, in particolare Gioppy detto anche “il matematico” che spiegava alla sorella che se “l’altra volta che è stato via tre giorni e papà ci ha portato tre regali... questa volta che è stato via quindici giorni, papà ce ne porterà cento! vero mamma?”. Chi sono io per contraddire l’inventore della matematica ottimista? “Verissimo Gioppy!” E poi anch’io non vedevo l’ora di rivedere Giamma. Mi è mancato tantissimo. Uh, come mi è mancato quando arrivava l’ora di cena e i due gnomi si trasformavano in acrobati del Cinque du Soleil e la casa in una giungla in cui avevavo banchettato i Normanni, uh, come mi mancava! Giamma, l’uomo che ogni giorno mi liberava dalla spazzatura. Ora che Il nostro terrazzo si è trasformato in un’oasi (per niente) ecologica e i vicini hanno indetto una manifestazione per emergenza rifiuti, ma quanto mi manca?!Io che senza di lui ho fatto una doccia in 15 giorni! Uh, uh, uh. QUANTO MI È MANCATO! Ma! Il grande giorno, è arrivato. Per metterci d’accordo, io e Giamma ci siamo sentiti con il vivavoce al cellulare che teneva stretto tra le mani Gioppy, perché io stavo lottando con Olivia per convincerla che farsi belli non significa uscire di casa spalmandosi il moccio del naso nei capelli. (Anche se lo ammetto, tiene più della mia lacca) “Oliviaaaaaaaaa....fammi sentire cosa dice papà al telefono non capisco niente...Giooooppiiiiiii zittooooooo.....” Decido quindi di fare una cosa intelligente, che solo una madre dotata di grande senso dell’umorismo avrebbe fatto. “Gioppy, parlaci tu con papà”.

“Pronto... pronto... mi sentite?” Dall’altro capo del telefono sento Alice e i bambini e altri rumori che mi fanno dubitare della capacità della mia quasi moglie di gestirne due da sola. “Papà quando torni?” Mi chiede Gioppy con la vocina impastata di miele. “Arrivo fra pochissimo! ecco però ora Gioppy, fai il bravo e passami la mamma” “No... papà quando torni?”

“Te l’ho detto: oggi! adesso ascoltatemi bene, dì alla mamma che ci vediamo alle sei al Parco Sempione ok?” “Siiiiiiiii.....” “Capito?”

“Siiiiiiiiiii...”

Non perché è mio figlio... ma Gioppy è intelligentissimo quindi ero molto tranquillo sul fatto che avrebbe di sicuro ripetuto milioni di volte ad Alice che ci saremmo visti al Parco Sempione nella solita panchina, la nostra, quella dove io e lei ci siamo baciati svariate volte e per colpa... volevo dire, e grazie a quelle svariate volte abbiamo deciso di fare due figli. Allora mentre viaggiavo verso Milano, pensavo che non vedevo l’ora di stringere quelle due microriproduzioni di me e della loro mamma. E poi non vedevo l’ora di rivedere Alice... ma quanto mi è mancata? Soprattutto all’ora di cena, quando cucinavo prelibatezze accompagnate da un buon Teroldego del 2013, ascoltando Chopin che attraverso la sua musica pareva dirmi: ma dove si è nascosta Alice? Uh, come mi mancava!

O quando dopo cena mi mettevo su quel divano grande quanto un pullman, tutto solo, e senza obliterare il biglietto, a guardare uno, a volte anche due film, nel silenzio della casa, senza ridere, commentando le scene parlando ad un cuscino... come mi mancava. E quando poi a letto, tutto solo, mi mettevo comodo, senza le sue pinne ghiacciate taglia 41 che mi congelavano le costole... ecco, lì mi mancava un po’ meno. Comunque il grande giorno era finalmente arrivato e mentre aspetto di abbracciarli, riguardo i nostri video e le foto e rido innamorato della mia famiglia fino a quando all’improvviso, il cellulare mi si scarica. Dal 20% a spento in 10 secondi. Neanche fosse una Lamborghini dello scaricabatterie.

Cerco il cavo per attaccarlo e mi accorgo di averlo lasciato in albergo. Ma sì, tanto l’appuntamento era chiaro. Al massimo la chiamo da una cabina. Il suo numero lo so, era 333.... no. 899... ah no. Boh!

Va beh, ma la panchina è quella. Un’ora e me li bacio. Alle sei, al Parco Sempione.

“Alle sei al “parcheggione?” Era qui l’appuntamento, giusto Gioppy?” “Siiiiiiii! Al pa-cche-ggio-ne!” Mi dice convinto Gioppy. Solo che sono già le sei e venti e di Giamma neanche il naso.

Mi sembra strano un appuntamento al parcheggione, che poi è come chiamiamo il parcheggio del centro commerciale vicino casa. Provo a chiamarlo un centinaio di volte ma scatta sempre la segreteria.

O è al telefono con Obama oppure gli si è spento.

Non ci resta che aspettare e mentre mi esibisco in facce buffe per intrattenere Olivia che continua a gridare “Papààààààààààààààà” Gioppy le spiega dei cento regali che sicuramente avrebbero ricevuto da lì a breve.

Dopo due ore di attesa, dove li ho costretti a stare seduti e composti per farsi trovare impeccabili all’appuntamento, non sapevo davvero più cosa fare. Cerco di consolare i bambini dicendogli che di certo papà aveva avuto un contrattempo, che magari era già a casa che ci stava aspettando, anzi, che magari ci voleva fare una sorpresa e magari voleva farsi trovare lì con i regali in mano. Questa versione della storia e il freddo umido che iniziava a farci gocciolare i capelli, ci hanno convinto a metterci in cammino.

Ci ho messo quasi un’ora per arrivare a piedi al Parco Sempione, perché oltre al caricabatterie, in albergo, ho lasciato anche il portafoglio e il tassista non si è fidato delle mie parole “te li porto domani”. La nostra panchina era occupata, ma non da Alice e dai bimbi, bensì da una coppia di 17enni che si baciano con così tanta passione che sembra vogliano mangiarsi. Io mi posiziono in modo da poter tenere controllata la panchina ma senza passare per guardone.

Mi accorgo che la mia strategia non sta funzionando quando il ragazzo, vedendomi con l’unico occhio semi aperto sconcentrato dal bacio, si stacca dalla ventosa e mi grida: “Oh, zìo, cerchi rissa?”

Quindi decido di avviarmi verso casa per non rischiare di finire a fare Bud Spencer con il ragazzino ingellato, quindi mi faccio a piedi la strada che avrebbe fatto Alice con l’autobus nella speranza di incrociarla. Una volta arrivato stremato sotto casa, mi accorgo che ho dimenticato pure le chiavi in albergo.

Che giornata... indimenticabile.

Una volta a casa, mentre i bambini continuano a chiamare “papà-papà” in ogni angolo sperando di trovarlo nascosto subissato dai famosi 100 regali, sono lì lì per chiamare la Polizia quando sento suonare il campanello, i bambini si mettono a correre lungo il corridoio scivolando un paio di volte sul parquet come dei cuccioli di Labrador. “Amori! È papà! Dico mentre spalanco la porta e di fronte alla visione di Giamma stanco e stropicciato come fosse appena rientrato dal Vietnam, le prime parole dei bambini... quali sono state?

I regali. Di tutto quello che posso dare ai miei figli, la prima cosa che mi chiedono dove sono i regali. “Ecco cos’altro avevo dimenticato in albergo” sospiro con gli occhi al cielo. “Me lo dai comunque un bacio?” chiedo allungando le labbra prontamente, spostato da Gioppy che mi fa “bleah”. Perché in fondo è il pensiero quello che conta e l’importante è che papà sia tornato a casa. Ed ecco che mio figlio sembra capire la mia posizione, il mio ragionamento.

Fiducioso si gira verso Alice e chiede: “Mamma, ma papà... quando riparte?”